Si sa, la tutela dei diritti può essere un terreno costoso e complesso da navigare. Le dispute legali possono richiedere mesi o addirittura anni per essere risolte, con costi che possono facilmente eccedere le possibilità di molte persone e imprese. Di recente, a partire dal mondo statunitense e inevitabilmente importato anche nel nostro ordinamento, si sta aprendo il fronte ad un nuovo sistema di accesso alla tutela giurisdizionale: il litigation funding.
Il litigation funding, la cui traduzione letterale sarebbe “finanziamento delle controversie” consiste in un’opzione finanziaria in cui un terzo soggetto fornisce i fondi necessari per condurre un’azione legale in cambio di una quota degli eventuali proventi ottenuti dalla causa. In sostanza, il “litigation funder” investe denaro nella controversia legale, assumendosene i rischi finanziari anche, e soprattutto, in caso di soccombenza.
Ovviamente, il finanziatore valuta la fattibilità e la meritevolezza della causa legale attraverso accurate due diligence e, se ritiene che ci siano buone possibilità di successo (si stima che per lo più i funder richiedano una probabilità vicina al 70%), fornisce i fondi necessari per coprire i costi tecnici, mette a disposizione la propria rete di avvocati o garantisce gli onorari di difensori esterni, le spese legali e le eventuali spese processuali.
In cambio del finanziamento, il litigation funder riceve una percentuale dei proventi ottenuti mentre se la causa non ha successo, il finanziatore subisce l’intera perdita finanziaria.
Appaiono immediatamente evidenti i vantaggi di un tale sistema.
Innanzitutto rileva un profilo di accesso alla giustizia: sappiamo come questo sia un diritto fondamentale ma è innegabile che i costi da sopportare spesso siano, se non un ostacolo, quantomeno un deterrente per coloro che anche avrebbero a ragione necessità di tutela, ed in questo senso il litigation funding consente alle persone e alle imprese che non dispongono delle risorse finanziarie necessarie di accedere al sistema legale e di far valere i propri diritti.
In secondo luogo verrebbe da riflettere sulla possibilità che questo nuovo sistema, oltre a rimuovere il rischio finanziario in ingresso, promuova anche una consequenziale equità laddove consente a privati ed imprese di affrontare, senza farsi intimorire, contenziosi con controparti nettamente più grandi e meglio finanziate, livellando il “campo di gioco legale”.
L’interesse è tanto e tale che anche fondi di investimento internazionali hanno iniziato a guardare con interesse alla cosa ed anche in Italia hanno iniziato ad investire, anche perchè il nostro paese è sicuramente interessante per l’alto grado di litigiosità seppur incontra un limite nelle contenute somme in gioco che tendenzialmente caratterizzano le controversie nostrane ancor di più considerando gli alti costi, economici e di opportunità, dati dall’imprevedibilità dei tempi della giustizia.
Di recente sono nate delle start-up, anche italiane, che hanno l’obiettivo di rappresentare strutture di litigation funding a tutto tondo; queste società, piuttosto che finanziare la causa di qualcuno, se ne appropriano a tutti gli effetti attraverso una cessione del c.d. “Diritto Litigioso” tra il titolare del diritto medesimo ed il litigation funder.
Alcune di queste società si sono dotate di algoritmi predittivi per decidere la ragionevole probabilità di accoglimento della causa ed in caso positivo, la acquistano.
L’avvento di queste nuove società ha esteso il fenomeno, che inizialmente appariva limitato (o meglio, interessato) a cause in cui il possibile profitto (e dunque il valore della controversia stessa) non fosse inferiore ai sei o sette zeri, allargando la platea anche a quei privati o imprese che sono titolari di un diritto litigioso ben più contenuto. Qualcuno ha sollevato polemiche, ritenendo che più che un accesso facilitato alla giustizia, questa nuova appetibilità dei diritti litigiosi, configurati quasi come asset a disposizione dell’individuo poiché si trovano ad avere un non irrilevante valore di mercato, rischia di generare un “mercato dei diritti” come lamentato dal Presidente CNF Francesco Greco.
Siamo certamente di fronte ad una possibile svolta, e come ogni grande cambiamento va osservato attentamente e ne vanno anticipate per quanto possibile patologie e distorsioni, sia per la professione che per tutto il sistema di tutela dei diritti.